Il 28 settembre si celebra la giornata internazionale dell’aborto libero e sicuro, nata negli anni ’90 nei paesi dell’America Latina e adottata nel 2011 dal Women’s Global Network for Reproductive Rights.

Nel nostro Paese il corpo delle donne si sta facendo nuovamente terreno di battaglia politica, e per tutte noi che da anni ci battiamo per il diritto di scelta di ciascun* significa dover rimettere in campo vecchi e nuovi temi. Prima della legge 194 del 1968, in Italia si praticavano circa 800.000 aborti clandestini l’anno. Non erano quasi mai svolti per disobbedienza civile da sanitari che avevano a cuore il diritto delle donne: erano svolti in scantinati, appartamenti, magazzini squallidi, da persone senza scrupoli. Si stimava che ogni anno perdessero così la vita tra le 11mila e le 20mila donne. E anche dopo che la legge è passata, ci sono voluti alcuni anni per invertire questa marcia: nel 1973 secondo il Movimento Gaetano Salvemini di Roma le donne morte di aborto o di malattie conseguenti a pratiche clandestine erano indicate nel numero di 20mila e in un milione e 200mila venivano stimati gli aborti clandestini per anno.

La legge 194 è stata una grande conquista, sì, ma anche frutto di un compromesso: non è un caso che la leader del partito Fratelli d’Italia, i cui esponenti più volte e in varie forme si sono espressi contro l’aborto, dichiari in questi giorni che la loro posizione è per “la piena applicazione della legge 194”. Le forze conservatrici hanno strumentalizzato l’obiezione di coscienza, fino a quel momento strumento di tutela morale a favore delle minoranze, come per la leva militare, trasformandola in un’arma nelle mani di blocchi di potere, non per tutelare la propria autodeterminazione ma per bloccare quella delle donne. Non a caso, 31 sono le strutture sanitarie con obiezione totale, quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%, e ancora nel nostro Paese si contano dagli 11mila ai 16mila aborti clandestini l’anno. Numeri che ci mostrano come uno strumento che dovrebbe essere contingenziale ed eccezionale sia in realtà radicato e strutturale, nonostante un voto popolare a sua difesa nel 1981.

Anche la retorica legata alla “libertà di scegliere di non abortire”, legata al famoso articolo 5 della legge 194 nasconde dietro di sè una costante colpevolizzazione delle donne che decidono per loro stesse, veri e propri abusi psicologici mirati verso chi risulta più marginalizzato, e soprattutto nega fortemente la realtà: negli ultimi anni circa il 60% di donne che ricorre all’IVG in Italia, infatti, è già madre, sa bene perché sta facendo questa scelta ed è responsabile non solo della propria qualità della vita ma di quella dei propri figli già nati. Anche il tema degli aborti multipli usati come contraccezione nei numeri perde totalmente di credibilità: la recidiva di aborto è in calo anno per anno, maggiormente nelle Regioni in cui si attua un follow up delle pazienti post IVG e in cui viene proposto l’accesso gratuito alla contraccezione, e si attesta al 24,5% degli aborti totali, uno dei dati più bassi a livello globale.

I movimenti femministi oggi in tutto il mondo sono in mobilitazione contro i continui attacchi alla libertà di scegliere sul proprio corpo, alla strumentalizzazione costante del vissuto delle donne da parte dell’establishment conservatrice. Dobbiamo avere ben chiaro cosa ci aspetta nei prossimi anni ed essere coscienti che abbiamo bisogno di obbiettivi a lungo termine, come la riforma della 194, quanto di strumenti messi in campo sui territori dalle singole istituzioni e amministrazioni, che sappiano far fronte alle specificità, agendo in ogni settore possibile, dall’organizzazione interna delle ASL, ai servizi del welfare, all’educazione sessuale nelle scuole. In ogni spazio della vita pubblica si può e si deve, oggi più che mai, difendere il diritto all’aborto libero, pubblico, gratuito e sicuro.


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