Un appello aperto alle realtà femministe baresi per scendere in piazza Martedì 8 Marzo, alle ore 18 in piazzetta dell'Economia

Alle porte dell’otto marzo 2022, le associazioni femministe e transfemministe baresi ripongono al centro, con urgenza, la questione di genere nel nostro territorio.

La pandemia ha fatto emergere tantissime contraddizioni di un sistema profondamente diseguale, dalla povertà lavorativa alla fragilità delle strutture del welfare. I casi di violenze sessuali perpetrate in maniera seriale da uomini in posizioni di potere (docenti, medici, personale sanitario, datori di lavoro…) sono stati all’ordine del giorno della cronaca, anche a Bari, e caratterizzati da una totale normalizzazione nell’ambiente in cui si sono consumati. La violenza strutturale si è rafforzata nelle fragilità che l’emergenza sanitaria ha prodotto: l’accesso al diritto all’aborto si è ridotto all’osso anche come effetto dell’enorme numero di personale obiettore di coscienza nelle strutture pubbliche, arrivando a essere negato completamente a quante si trovassero in isolamento per COVID. È necessario portare una profonda critica del sistema che viviamo, dei codici su cui si sono sviluppate le nostre comunità, perché questa società è diventata ormai insostenibile per troppe persone.

Nel corso del 2021 tanti sono i fronti di rivendicazione che si sono aperti per i nostri movimenti. In estate e in autunno le piazze italiane sono state riempite dall’onda rainbow per chiedere l’approvazione della legge Zan per il “contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. La bocciatura in Senato di tale legge ci ha privati di un primo strumento di tutela contro i crimini d’odio di matrice omofobica e sessista, nonché della messa in atto degli strumenti per decostruire la cultura patriarcale che insiste violentemente sulle nostre vite. La destra italiana dai banchi del parlamento ha messo in scena una vergognosa esultanza, emblematica della totale mancanza di responsabilità verso i processi sociali che ci opprimono.

Sono del 2019 i dati ISTAT sulle opinioni della popolazione italiana rispetto al ruolo della donna: da questa indagine emerge che, secondo un italiano su tre, le donne hanno un ruolo secondario nel mondo del lavoro. Una convinzione troppo diffusa per essere considerata marginale, una convinzione che pervade e insiste nelle nostre scuole, case, posti di lavoro, e anche all’interno delle istituzioni.

Sono tristemente prevedibili i dati (ISTAT, 2021) denunciati dai sindacati che stimano in Puglia un’occupazione femminile al 32,5%. L’esclusione delle donne dal mondo del lavoro è profonda e sistemica, e incide ancora più profondamente in periodi di crisi economica come quello che stiamo vivendo, generando povertà, marginalità sociale e fragilità anche in quella che dovrebbe essere la vita privata: una donna senza un reddito è una donna che non potrà allontanarsi da un contesto domestico violento. Numerosi sono gli studi che collegano la povertà femminile alla preclusione dall’accesso ai percorsi di fuoriuscita dalla violenza, che oggi sappiamo consumarsi principalmente nelle case, per mano di partner o ex partner.

Le misure per l’occupazione femminile (specie nel Meridione) non possono ridursi ai finanziamenti per l’autoimprenditoria o vantaggi per le imprese: rivendichiamo l’attuazione della legge per la parità salariale, misure che incidano nella transizione tra formazione e lavoro, e soprattutto l’aumento delle infrastrutture del welfare per la cura e i servizi di assistenza alla persona.

Nei luoghi della formazione, scuole e università, e già dalla scelta del percorso di scuola superiore, è necessario mettere in campo programmi di orientamento che accompagnino realmente nelle scelte per il proprio futuro, per scardinare in partenza quegli stereotipi culturali che ad oggi, attraverso le aspettative sociali, influenzano ragazze e ragazzi spingendoli alla segregazione rispettivamente tra lavori di cura e produttivi. I percorsi per l’orientamento nelle STEM rivolti a bambine e ragazze vanno incrementati infatti con una vera e propria educazione di genere, che fornisca gli strumenti per ridefinire il ruolo di ciascuno nelle comunità. In questo gioca un ruolo essenziale il diritto allo studio: la gratuità ad ogni livello della formazione è un obiettivo al quale dobbiamo tendere affinché a tuttə siano garantite pari opportunità di autodeterminazione, a prescindere dalle condizioni tanto economiche quanto culturali di partenza, garantendo l’emancipazione e sbloccando l’ascensore sociale.

Ad oggi, inoltre, riconosciamo lo schiacciamento nel lavoro di cura come il maggior ostacolo alla povertà lavorativa femminile. Vogliamo la tutela della genitorialità senza distinzione di genere, per smantellare definitivamente la cultura patriarcale che chiede agli uomini di affermarsi unicamente nel mondo lavorativo e esclusi dalla cura del nucleo familiare, già dalla possibilità di godere di adeguati congedi parentali. Vogliamo il rafforzamento della rete dei servizi per l’infanzia e per l’assistenza alla persona: la relegazione del carico di cura all’ambito familiare, quando non implica la disoccupazione o i part time obbligati per le madri e le figlie, si trasforma nello sfruttamento del lavoro di migliaia di altre donne provenienti principalmente straniere. Un lavoro, quello da colf, tata o badante, invisibilizzato e sottotutelato, con conseguenze enormi sulla salute mentale di chi è costretto a svolgerlo esclusivamente a queste condizioni. La professionalizzazione e la tutela dellə lavoratorə della cura è un tema che si interseca con la lotta delle persone disabili, che rivendicano proprio nell’assistenza personale e nella rete di servizi pubblici di qualità e accessibili a prescindere dalla ricchezza familiare, lo strumento principale di autodeterminazione delle proprie vite, insieme a misure realmente incisive per reddito e occupazione lavorativa.

A questi temi si lega una nuova minaccia ai diritti e alla sicurezza sociale: la guerra che divampa nell’Est Europa ora colpisce il popolo ucraino, ma già incombe, direttamente o indirettamente, sulla vita di tuttə noi. Lo sversamento di denaro pubblico negli armamenti, l’aumento del costo della vita per la diminuzione delle risorse energetiche, sono temi che già ci stanno interessando e devono essere contrastati, nelle istituzioni politiche quanto nel dibattito pubblico.

Un appello alla pace transfemminista e antifascista è una voce per rimettere al centro i popoli, la loro autodeterminazione e i loro diritti, il rispetto delle risorse della Terra e la loro redistribuzione per il benessere di tuttə e non per l’arricchimento di pochi. La guerra, come i movimenti internazionali femministi stanno ricordando in questi giorni, intensifica le disuguaglianze e porta con se non solo le violenze delle bombe e dei proiettili, ma anche la riduzione dei diritti di ciascuno e l’esasperazione di quelle violenze, sistemiche come individuali, che già insistono su alcune soggettività.

Queste parole valgono per il conflitto russo-ucraino come per tutti i conflitti che infiammano la nostra Terra, come in medio-oriente e nel continente africano: verso molti di questi conflitti i governi occidentali hanno responsabilità dirette, per aver sottratto risorse economiche e sversato armi, indebolendo democrazie per favorire gli affari, e soprattutto respingendo le ondate di profughi e migranti che anno per anno bussano alle porte dell’Europa, alla ricerca di sicurezza e dignità.

Vogliamo che l’Otto Marzo possa essere ogni giorno, e ogni giorno le istituzioni si pongano in ascolto e agiscano nell’interesse dell’emancipazione di genere, anche a costo di mettere in discussione convinzioni e convenzioni su cui le stesse istituzioni si sono basate per decenni. E poi, allarghiamo il nostro appello a tutta la società civile: è necessario portare avanti rivendicazioni costanti e congiunte. Se la violenza è strutturale, strutturale deve essere la risposta. Pratichiamo l’intersezionalità attraverso il confronto e riportando al centro dei dibattiti pubblici la profondità e la complessità delle violenze che viviamo.

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