Il settantacinquesimo anniversario della liberazione cade in un momento in cui il tempo della pandemia sembra cancellare le visioni prospettiche collettive e ci assale con un forte senso di paralisi, di distanza sociale e di individualismo. Proprio per questo, oggi più che mai questa data assume un profondo significato politico e sociale che ci impone di ragionare su ciò che ancora rappresenta la parola Restistenza e su come possa indicarci la strada. 

L’emergenza Coronavirus ha costretto il mondo intero a puntare a ridurre il contagio attraverso la limitazione delle attività produttive e delle libertà personali per tutelare l’interesse comune, ma queste misure sono anche incidentalmente servite a  cristallizzare con forza le enormi disuguaglianze pre-esistenti, create dall’allineamento tra capitalismo globale e democrazia liberale che ha egemonizzato i rapporti economici e sociali. 

La fotografia che l’emergenza ci restituisce è quella delle conseguenze dei tagli e della privatizzazione della sanità, del definanziamento strutturale della ricerca e dell’istruzione, dell’impoverimento della classe media e concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, ovvero gli effetti delle politiche neoliberiste che per decenni hanno messo in ginocchio il nostro Paese, e non solo. E oggi, in tempi di pandemia, il divario esistente tra sfruttati e sfruttatori è evidente agli occhi di tutte e tutti, in tutto il mondo. Se negli Stati Uniti ci sono intere fasce di popolazione che non hanno accesso alle cure perché non in grado di avere un’assicurazione sanitaria, anche nel nostro paese il SSN è messo a dura prova, e milioni di lavoratori stanno accusando il durissimo colpo delle politiche che ne hanno ridotto i diritti negli ultimi anni.

Il sistema che collassa dunque, apre delle enormi falle che diventano sempre più lampanti nei nostri stessi territori, dove si vanno a configurare nuovi poveri, nuovi emarginati e nuovi diritti negati. Da un mese e mezzo, infatti, il lockdown ha evidenziato la forte dicotomia che esiste tra l’esigenza di continuare a svolgere determinate attività, come il lavoro, lo studio, la ricerca e la possibilità materiale di poter accedere a queste attività e di poterlo fare in totale sicurezza. L’impossibilità per tutti di accedere agli strumenti digitali nonché gap strutturali sull’alfabetizzazione digitale (il cosiddetto digital divide) stanno causando la lesione del diritto all’istruzione per le fasce più povere, e configurano una prospettiva preoccupante per il ruolo emancipatorio che l’istruzione ha per la popolazione più giovane. Analogamente, abbiamo assistito nelle scorse settimane ad un dibattito riguardante la necessità di interruzione del lockdown in virtù della necessità di continuare a produrre, in barba a quelle che fossero le invece necessarie misure di contenimento del virus e di messa in sicurezza di lavoratori e lavoratrici.

Ed è in questo scenario preoccupante che provano a riprendere spazio le destre all’interno del dibattito pubblico: con una ritrovata forza e arroganza prendono parola esponenti della Lega e di Fratelli d’Italia, provando non solo a strumentalizzare le fragilità sociali ma anche la stessa emergenza sanitaria per un revisionismo storico che colpisce proprio la data del 25 Aprile. Dalla proposta di “rilettura” della giornata della liberazione come giornata del ricordo per le vittime dell’emergenza coronavirus, alle minacce di morte ai partigiani che hanno liberato l’Italia, la destra italiana prova a sfruttare la situazione attuale per acquisire consenso.  

Ci preoccupa che la nostra democrazia nata dalla Resistenza e dal sacrificio di tante e tanti in nome della libertà, veda percentuali di consenso così alte per politici neofascisti che strizzano l’occhio alle peggiori destre europee, quelle stesse che – con l’alibi della lotta al virus – hanno invocato e ottenuto ‘pieni poteri’, riuscendo in questo modo ad aggirare le Costituzioni, cogliendo poi l’occasione per scagliarsi contro soggettività già marginalizzate per limitarne in modo ancora più massiccio i diritti (in Ungheria nei confronti delle persone LGBT+ e in Polonia provando a limitare ulteriormente il diritto all’aborto). 

Va tenuta alta la guardia, e va fatto soprattutto con la consapevolezza che non solo le ricette nazionaliste, xenofobe e discriminatorie che alimentano la guerra tra poveri attecchiscono laddove cresce la povertà e laddove i bisogni della popolazione vengono messi in secondo piano rispetto agli interessi dei pochi, e che questi sono anche i contesti più fertili per lo sviluppo del controllo mafioso, ma che quegli stessi parlamentari (e non) che gridano “prima gli italiani” sono gli stessi che in virtù di interessi economici propongono di salvare l’economia italiana con lavori sfruttati e sottopagati.

Ed è per questo che riteniamo che la risposta all’emergenza sanitaria e sociale che stiamo vivendo debba essere una risposta politica che ribalti il mondo così come l’abbiamo conosciuto: non più una corsa disperata al profitto di pochi attraverso lo sfruttamento del lavoro e dei territori, ma bensì una capacità di mettere al primo posto la giustizia sociale, i diritti di tutti, senza distinzione alcuna, la possibilità di potersi autodeterminare e di poter far fronte in maniera eguale anche agli stati di maggiore difficoltà, e ancor di più la capacità di ripensare dalla radice un modello di mondo e di società. Servirà farlo attraverso le tante iniziative di solidarietà che sono state messe in campo in queste settimane, così come servirà costruire una proposta politica forte affinché nessuno rimanga indietro. 

In questo scenario preoccupante, sono perciò necessarie scelte di campo: non possiamo più permettere che a pagare il peso di politiche scellerate siano i più deboli, così come non possiamo perdonare che questo momento emergenziale sia  la scusante per non prestare soccorso alle persone migranti che, nonostante l’emergenza globale, non hanno interrotto i loro viaggi disperati verso l’Europa, e della cui sorte ci si è lavati le mani dichiarando i porti non sicuri.

Questo 25 aprile abbiamo il dovere di ricordare che la Resistenza ha rappresentato un fenomeno storico di forte rottura con il ventennio che non solo ha liberato l’Italia dall’oppressione nazifascista, ma che ha compiuto un grande passo verso la ristrutturazione sociale della società italiana, dando una visione prospettica di futuro possibile e diverso. La lotta di liberazione portata avanti da partigiane e partigiani è stato un fulgido esempio di riappropriazione di una dimensione collettiva di decisionalità e di fuoriuscita dall’immobilismo del Ventennio. Resistenza quindi è anche costruzione di un’identità collettiva libera dalla necessità di essere soggiogata dalla paura di cui si nutrono e si sono sempre nutriti i fascismi. Questa identità la si ricostruisce proprio a partire da quello che è il ruolo della memoria attiva e della conoscenza, non per mera testimonianza ed esercizio del ricordo, ma per poter dare a tutte e tutti gli strumenti per analizzare il presente. 

La garanzia dei diritti – a partire da quello dell’accesso all’istruzione in questa particolare fase storica – e la consapevolezza della necessità di una lotta collettiva da porre in essere è il nuovo orizzonte della democrazia e deve essere di opposizione alle nuove forme di fascismi che strumentalizzano la salute pubblica. La stessa consapevolezza collettiva che sarà necessaria per recuperare, ripristinate e difendere le libertà caposaldo della nostra democrazia nella fase successiva a quella della emergenza, uscendo dalla sfera individuale e ragionando sui nessi e le decisioni politiche che hanno portato il nostro Paese in ginocchio di fronte al diffondersi del virus. Crediamo che siano urgenti interventi strutturali di finanziamento al pubblico, a partire da Sanità e Istruzione, nonché di un welfare improntato sul contrasto alle disuguaglianze, alla povertà e alle ingiustizie che questa crisi sta inasprendo, che sono ben distanti da quelli che ad oggi sono stati messi in campo dal Governo per far fronte alle difficoltà economiche, e infine delle soluzioni di contrasto al contagio che non sacrifichino le libertà e i diritti delle persone al solo fine di aumentare controllo sociale e la repressione. 

Anche in questa fase, dunque, praticare collettivamente la memoria della Resistenza e dell’antifascismo ci fornisce le coordinate per immaginare una società diversa che trovi la sua forza nella collettività, nell’estensione dei diritti, all’uguaglianza sostanziale e nella solidarietà. 


In  questo senso, questo 25 Aprile, non potendo svolgere iniziative pubbliche, vi invitiamo a prendere parte alla fotopetizione “Bella Ciao in ogni casa perché…” sottolineando e motivando l’importanza della pratica e del pensiero antifascista in ogni casa, in ogni luogo di lavoro, in ogni spazio anche se virtuale!

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