Negli scorsi giorni è stato pubblicato il rapporto Svimez 2019 sull’economia nel mezzogiorno, con dei dati molto chiari dello stato in cui versano le nostre regioni e che puntano ancora una volta i riflettori sulla condizione dei giovani meridionali. Quei giovani di cui si parla siamo noi, e oggi vorremmo dire la nostra: ci rifiutiamo di essere passivi rispetto a ciò che sta succedendo nei nostri territori, ci rifiutiamo di subire le manovre politiche nazionali e locali che continuano ad impoverirci e a cancellare il nostro futuro.

La questione giovanile meridionale per noi non è qualcosa che ha a che fare esclusivamente con quante industrie aprono nella provincia di Bari, e non si relega a pochi momenti dell’anno in cui ricordiamo quel numero impressionante di 45mila nostri coetanei (il 14%) che in 10 anni hanno abbandonato definitivamente le città dell’area metropolitana barese. È la lente attraverso cui noi guardiamo qualsiasi questione che riguarda il nostro futuro: dal tema ambientale al diritto allo studio, dalla mobilità all’urbanistica stessa delle nostre città.

I giovani pugliesi si organizzano, discutono, si confrontano tra loro e vogliono produrre politica che possa avere incidenza sullo sviluppo del territorio. La nostra non è un’attività di rappresentanza, fatta come se fossimo una piccola categoria protetta: vogliamo rimanere qui non per noi, ma per il futuro di tutte e tutti. Non abbiamo paura di studiare e lavorare fuori dalle nostre città, per crescere e aumentare le nostre esperienze, ma vorremmo che migrare non fosse una scelta obbligata: a partire dall’università, dove il 46% degli studenti pugliesi è iscritto fuori dalla nostra regione (dati dell’Anagrafe nazionale degli studenti del Miur) passando per la differenza di 3 milioni di posti di lavoro tra regioni meridionali e settentrionali che costa una disoccupazione al 46,3% tra gli under 24 solo in Puglia (dati ARTI).

Siamo costretti ad andarcene perché i nostri territori si trovano a fare i conti con continue politiche di impoverimento: come possiamo chiedere a chi non può nemmeno pagare le tasse universitarie di sostenere il costo di una vita da studente fuorisede nella nostra regione? A Bari, i posti letto gratuiti a disposizione per tutta la popolazione studentesca (50mila universitari) sono poco più di 1.000. I definanziamenti agli atenei, 9 miliardi in meno dal 2008 in poi, sono stati nascosti dietro la richiesta alle Università di “eccellere”, di essere “competitive”: il risultato è che il 90% dei finanziamenti straordinari per i cosiddetti Dipartimenti di Eccellenza finisce agli Atenei del Centro Nord. Noi, ci dobbiamo distribuire un Fondo di Finanziamento Ordinario di 20 miliardi inferiore a quelli di Francia e Germania, chiudere i corsi di laurea e vedere, anno per anno, ridursi gli immatricolati.

In un questionario attraverso cui stiamo approfondendo con gli studenti di università e scuole superiori i problemi principali della vita degli studenti nella città di Bari con la campagna “Città del Futuro”, è emerso che il 60% degli studenti si è trovato almeno una volta, per questioni economiche, a dover rinunciare alla formazione personale (andare al cinema o acquistare un libro) per sostenere i costi dello studio. Per il 35% degli studenti intervistati i costi dei mezzi di trasporto che usano non è sostenibile, l’80% non usufruisce di nessun tipo di riduzione sul prezzo dell’abbonamento. Poche affermazioni che spiegano già da sole perché al Sud Italia quasi il 20% abbandona la sua formazione scolastica contro il 10% del resto d’Italia e d’Europa.

Noi chiediamo città universitarie, che significa avere strumenti di welfare adeguati ai nostri bisogni. Non vogliamo rinchiuderci in pochi quartieri dorati del capoluogo, perché questo significherebbe crescere a due velocità: lo rifiutiamo quando si parla di Nord e Sud del Paese, non lo accettiamo nemmeno se la divisione è interna ai nostri territori. Vogliamo che i collegamenti fra le varie parti della città metropolitana ci permettano di viverla per intero, che significa rafforzare i collegamenti con le periferie e estendere gli orari anche nelle fasce notturne. Vogliamo che le biblioteche, le sale studio, i luoghi di formazione, entrino nelle periferie ed eliminino una volta per tutte il concetto di quartieri-dormitorio. Questo per noi significa che scuole e università, che gli e le studenti del nostro territorio, abbattano le barriere strutturali che escludono intere aree urbane dalla vita della città e dall’accesso alla cultura.

Le nostre sono richieste non per migliorare la vita dei pochi che sono riusciti ad iscriversi all’università: guardano ai territori per intero, a ogni quartiere delle nostre città, ad ogni fascia d’età e ceto sociale. È tra i motivi per cui siamo scesi in piazza in 20.000 studenti a Bari il 27 settembre, e per cui torneremo in piazza il 29 novembre con gli scioperi per il clima: i migranti che partono dalle nostre città fuggono spesso da territori impoveriti e avvelenati da questo sistema economico e sociale. Con questa rabbia, con questo desiderio di cambiamento, rinunciamo alla dicitura di cervelli in fuga, per assumere quella di cervelli in furia: vogliamo che il futuro sia restituito nelle nostre mani!


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