SOLA STRADA ERA LA RESISTENZA – 25 APRILE 2018 

Settanta anni fa la Resistenza ha creato le condizioni necessarie nel nostro Paese per far nascere la Costituzione. Settanta anni dopo, la nostra Resistenza è difendere, applicare e rendere viva la Carta Costituzionale. Purtroppo oggi il fascismo nel nostro Paese esiste e se vogliamo garantire la tenuta democratica della nostra società dobbiamo combatterlo e non dargli alcuno spazio, in primis affermando che non può essere considerato una “fede politica” perché esso, come la Storia ci insegna, non permette il rispetto di opinioni differenti dalle proprie, annichilendo i valori dell’eguaglianza, del pluralismo e del rispetto delle differenze scolpiti nella nostra Carta costituzionale, nata dalla Resistenza.

Ciò non è scontato: se la Storia fosse stata davvero maestra di vita, capiremmo immediatamente che, così come durante il ventennio il fascismo ha acquisito consenso durante un periodo di crisi economica e sociale con la discriminazione violenta nei confronti del “diverso” (avversari politici, rom, ebrei, omosessuali), così oggi tali gruppi politici neofascisti fondano la propria sopravvivenza sulla strumentalizzazione della crisi, della marginalità sociale e della disperazione, additando ogni tipo di problema ad un “nuovo diverso”: il migrante. Di conseguenza assistiamo ad un meccanismo di lobotomizzazione che ci convince, ogni giorno di più, che la causa dei problemi del popolo italiano sia il migrante che fugge dalla guerra, dal terrorismo, da condizioni climatiche insostenibili e non una scellerata gestione della crisi da parte dei governi che si sono succeduti e che ha smantellato i diritti delle persone lasciando la maggior parte di esse senza lavoro o con un lavoro precario e privo di prospettive.

Dobbiamo dirci chiaramente che due sono le cause di questa ripetizione terrificante della Storia: la normalizzazione del fascismo e l’assenza di risposte politiche strutturali e convincenti per migliorare le condizioni di vita delle persone.

Partiamo dalla prima. La “normalizzazione” del fascismo, ossia la convinzione pericolosa che, proprio perché viviamo in uno Stato democratico sociale, è opportuno lasciare che ogni opinione venga espressa, anche in prima serata e su testate o seguitissime reti nazionali, nonostante queste opinioni abbiano poi in realtà l’obiettivo di propagandare messaggi del tono “la razza bianca è superiore” (neo Presidente della Regione Lombardia), “solidarietà alla signora che non ha voluto farsi curare da un medico di colore” (dichiarazione del sindaco leghista di Cantu) o “pagheremo le spese legali a Luca Traini” (dichiarazione di Forza Nuova dopo l’attentato di Macerata). Il razzismo, la xenofobia, l’omofobia, così, diventano “opinioni”, soffiando sulla paura e sulla disperazione e calpestando la dignità dei nostri valori costituzionali. La seconda causa invece risiede nell’insufficienza o nella totale assenza di risposte politiche efficaci ad una situazione di crisi da cui nel corso degli ultimi anni è conseguita un’incredibile marginalizzazione sociale, un aumento del tasso di disoccupazione generale e giovanile, un livello di dispersione scolastica e universitaria ai massimi storici e un tasso di povertà relativa e assoluta in modo trasversale in tutto il Paese. In questo stato di assenza di risposte e di totale sfiducia nei confronti della politica “classica” è semplicissimo fornire risposte populiste e strumentali e quindi convincere che “il problema dell’italiano è il migrante che viene a rubargli il lavoro”. Ed è proprio attraverso queste frasi facilmente digeribili che le organizzazioni neofasciste si insinuano nei nostri quartieri e nelle nostre città. In sintesi queste organizzazioni danno risposte semplici e strumentali a problemi complessi e strutturali, fingendo di costituire un’alternativa laddove lo Stato non riesce ad arrivare. Ricordiamo però che è compito dello Stato fornire queste risposte proprio perché il welfare state è una delle prerogative su cui fonda la nostra Costituzione che, nata proprio per ristabilire l’uguaglianza dopo il fascismo, stabilisce che è compito dello Stato abbattere gli ostacoli di natura economica e sociale che esistono nel nostro Paese, a prescindere dal colore della pelle o dall’etnia, discrimine su cui invece le forze reazionarie fondano il proprio assistenzialismo.

La società che vogliono costruire i soggetti neofascisti è quindi una società fondata su valori totalmente in contrasto con la Costituzione e con la democrazia, che al contrario vede l’eguaglianza tra le persone come proprio valore cardine. Non possiamo però limitarci a constatare con sguardo critico tale disegno, dobbiamo rispondere e agire con una lotta trasversale al fascismo, condotta tanto dalle organizzazioni politiche e sociali quanto dalle Istituzioni, ribadendo a gran voce che la Repubblica da loro rappresentata è fondata sull’antifascismo.

Il processo di liberazione dal fascismo non può prescindere da questa presa di coscienza del proprio ruolo da parte di tutte e tutti, a cui la Storia richiede oggi un impegno comune: riconoscere la pericolosità della riemersione del fascismo nelle sue nuove forme fenomeniche e agire nella direzione, da una parte, della ricucitura degli strappi nella società, dall’altra, della restituzione alla conoscenza del suo valore più profondo, intesa quindi come antidoto alla diffusione del fascismo.

Che fare, allora, per evitare che l’antifascismo non sia parola vuota ma che venga praticato quotidianamente e riabilitato tra i valori fondanti della nostra democrazia, proprio per tutelare la stessa democrazia dal pericolo fascista?

Un importante passo nella lotta al fascismo è agire politicamente da una parte impedendo che queste forme di fascismo si organizzino e ottengano senza problemi agibilità politica. Se il fascismo non è un’opinione perché lede la dignità di gruppi di persone attraverso la violenza, perché concedere spazi di discussione, fisici o no, ai fascisti? In questa lotta è fondamentale quindi una presa di posizione netta e radicale da parte delle Istituzioni del Paese che sono e devono continuare ad essere antifasciste. Apprezzabile è in questo senso il caso di Brescia, dove si è imposto l’obbligo di professarsi antifascisti all’interno degli statuti delle varie associazioni come requisito di riconoscimento legale e sociale per la concessione e autorizzazione di spazi pubblici. Il fascismo però si combatte anche costruendo una risposta politica forte e di alternativa alla miseria che possa vincere la facile strumentalizzazione delle marginalità. Alla facile retorica nazionalista la politica deve rispondere tornando a scandagliare i quartieri periferici abbandonati alla povertà e alla disperazione, deve offrire risposte di prospettiva attraverso pratiche mutualistiche volte a risolvere i bisogni della gente ma basate sul confronto e sullo scambio inclusivo.

Il più importante passo per combattere il fascismo è però conoscere.

Conoscere cosa è il fascismo, come si manifesta, etichettarlo chiaramente come tale, significa acquisire la consapevolezza della fase storica che la nostra società sta attraversando ed assumere di conseguenza la responsabilità di lottare per arginare tale minaccia. Per conoscere questo pericolo e di conseguenza praticare antifascismo inteso come valore politico e sociale centrale all’interno dell’architettura democratica del Paese è opportuno però fornire a tutte e tutti gli strumenti per agire in questo senso. Come? Rendendo quanto più accessibili i mezzi di formazione civica e politica, tra cui per eccellenza spiccano la scuola e l’università le quali, proprio perché istituzioni repubblicane e quindi rappresentanti dell’antifascismo inteso come valore costituzionale, devono svolgere una funzione sociale ed emancipare i soggetti che le attraversano tramite iniziative, dibattiti e insegnamenti utili a conoscere, ricordare e lottare perché la Storia non si ripeta. Per utilizzare un’espressione sintetica e appropriata dobbiamo garantire che “la memoria sia un ingranaggio collettivo” e non si disperda nel corso del tempo.
Il fascismo sarà morto solo quando nelle scuole si insegnerà la bellezza del dialogo e dell’integrazione, capaci di stimolare l’immaginazione di nuovi mondi possibili, i luoghi della formazione saranno i luoghi della piena liberazione dei saperi, della partecipazione attiva alla vita politica e della condivisione e della difesa dei valori costituzionali di un Paese che dimostra di aver ascoltato la Storia e di averne tratto preziosi insegnamenti. Noi saremo in prima linea in questa lotta antifascista e nel frattempo continueremo a resistere, come sempre.

Il 25 Aprile, il Coordinamento Barese Antifascista promuove una giornata ricca di eventi per le strade e piazze della nostra città. Invitiamo tutte le associazioni, partiti e realtà antifasciste e che ripudiano qualunque forma di discriminazione, a partecipare e ad aderire pubblicamente al nostro appello e al programma di quella giornata che verrà reso noto nei prossimi giorni.

Il Coordinamento Antifascista di Bari (Act, Anpi, Arci, Cgil, Libera, Link, Rete della Conoscenza, Unione degli Studenti, Zona Franka)

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